Da qualche tempo questo blog sta vivendo su due piattaforme parallele, con gli stessi argomenti e con gli stessi post. Ho scelto questa cosa per poter meglio valutare quale fra blogspot o wordpress mi fosse più congeniale. Dopo lunga valutazione, mi sono resa conto che mi è più comodo wordpress, anche se non saprei dire come e perché in realtà: forse ci ho preso solo meglio la mano.
Pian pianino sposterò tutti i commenti per non perdere le vostre parole e li posterò sotto i rispettivi post, quindi mi ci vorrà un po'.
Nel frattempo se volete seguirmi ancora questo è il nuovo indirizzo:
http://untheconleparche.wordpress.com/
Appena avrò concluso le operazioni di salvataggio del blog e dei vostri commenti, attuerò un'indirizzamento al nuovo indirizzo e non avrete più problemi.
Vi ringrazio per l'attenzione e mi scuso per il disagio.
E per non lasciarvi senza lettura, vi metto il link al nuovo post che ho appena scritto:
http://untheconleparche.wordpress.com/2014/09/16/cosciali-da-combattimento/
Link del post con la mia intervista:
http://untheconleparche.wordpress.com/2014/09/18/anna-attiliani-e-il-suo-progetto-campfire-chats/
Buona lettura e buon divertimento!
Sara
Un the con le Parche
Un the con le Parche
Pensieri di una rievocatrice fra Storia, Rievocazioni, Sperimentazioni e "Contemporaneità"
martedì 16 settembre 2014
giovedì 11 settembre 2014
Santo Buddha e il Battistero di Parma
Ci sono cose che dai per scontate perché ce le hai sotto mano e ci sono cose che si scoprono e si comprendono anche solo con un là trovato su una rivista. Ecco quello che mi è capitato leggendo un articolo di "Medioevo" del 2013: in una lunetta del Battistero di Parma c'è narrata una parabola tratta dalla storia di "Barlaam e Josaphat" che altri non è che la storia cristianizzata del Buddha. Come è strano il medioevo eh?
Perché il medioevo tanto vituperato non solo non è buio e grigio, ma non è nemmeno statico. Viaggiavano i mercanti, viaggiavano i marinai, viaggiavano i pellegrini, viaggiavano gli ambasciatori, viaggiavano le principesse mandate in sposa a signori lontani, viaggiavano i soldati, viaggiavano i maestri e gli studiosi, ma soprattutto viaggiavano i monaci. E ovunque andassero queste persone raccontavano storie, interagivano con gli altri, ascoltavano gli altri, portavano a casa storie che facevano loro. L'apporto a questo meccanismo è dovuto soprattutto ai monaci che in un modo o nell'altro hanno copiato, ricopiato e tramandato tutto quello che passava sotto le loro mani con l'unico "difetto" di cristianizzare il tutto. I monaci cristianizzavano miti e divinità positive altrui perché in esse, dicevano, si vedeva la mano, lo spirito e la volontà di Dio. Non è proprio un'appropriazione, ma piuttosto la vera essenza del medioevo che è sempre e costantemente permeato di Dio, per cui solo in casi estremi non si riconosce che Dio può essere ovunque e che non esiste popolo (anche il più strano) che non possa essere raggiunto dalla sua misericordia.
Questo modo poi di "tradurre" la mitologia altrui ha permesso non solo di venire a conoscenza di altre religioni e dei meccanismi di contatto fra i cristiani occidentali e non e gli estremi del mondo, ma permette ai filologi di poter ricostruire la base storica reale e poter permettere ad antropologi e rievocatori (perché no) un miglior studio: basta togliere la copertura.
Ma andiamo nello specifico. E scusate se vado a parlarvi della cosa in sintesi, ma se no, come ho potuto notare iniziando a cercare informazioni sulla cosa, ci scappa una tesi.
La leggenda o il racconto di Barlaam e Josaphat (da ora in poi B&J) arriva a Bisanzio attraverso i contatti con l'islam islamitico che aveva a suo tempo trasformato Buddha in un mistico mussulmano. Qui la storia arriva e si fa così interessante che nel X secolo il monaco georgiano Giovanni e suo figlio Eutimio ottenendo dall'imperatrice Teofano di poter istituire un monastero sul monte Athos iniziano a rielaborare questa storia e soprattutto a metterla per iscritto. Dalle loro mani esce il testo fondamentale per la nostra vicenda: il "Balavariani". Questo testo sarà il libro cerniera per i racconti che arrivavano dall'oriente attraverso la doppia via bizantina e araba e poi si diffonderanno in modo inimmaginabile per tutta Europa diventando davvero la fonte di tantissimi racconti del medioevo cortese.
Ci sono traduzioni in tutte le lingue attraverso le linee di contatto (greco → slavo ecclesiastico → russo e serbo; greco → est del mondo; greco → occitano, oil, medio-alto tedesco, inglese, spagnolo, boemo, polacco); continuando a riproporsi nel secoli dal X secolo fino al 1800, trovando echi fino al "Siddharta" di H. Hesse.
In Italia più e più volte è stato riprodotto:
- cappella di Sant'Isidoro nella basilica di San Marco a Venezia
- rilievo della cattedrale del duomo di Ferrara
- affreschi dell'abbazia delle Tre Fontane a Roma
- affreschi di Palazzo Corboli ad Asciano
- mosaico della cattedrale di Otranto
- lunetta del Battistero di Parma
Nel medioevo è tale la fama di questo giovane santo, tale il suo esempio che non ci si pone alcun dubbio e viene inserito nel novero dei santi della "Legenda Aurea" di J. da Varrazze. Ma il medioevo è anche questo, coi suoi santi popolari, acclamati e mai visti, la cui presenza fisica alla fine non è così importante basta avere una reliquia che ne attesti la presenza. E alla fine non hanno tutti i torti, lasciando perdere il discorso economico e di prestigio e basandoci solo sull'umanità, in un'epoca in cui le comunicazioni erano lunghe; i papi cambiavano e tu che magari abitavi a 1000 km non sapevi nemmeno che faccia avesse se non per volere di un pittore che te ne riportava le fattezze; in cui gli echi di vittorie arrivavano quando oramai non si avevano più praticamente gli esiti; in cui si facevano a piedi o a cavallo non più di 30 km al giorno o giù di lì; insomma dove internet e la tv non esistevano come si poteva stare a controllare tutto e subito? Va bene così, gli effetti del credere non portarono solo guerre ed eresie, ma anche ricchezza e monumenti meravigliosi.
Cosa parla la storia? Di un giovane principe che per volere paterno, a seguito di una profezia negativa, è costretto a vivere rinchiuso in una torre allietato solo da persone giovani e sane in modo che il suo cuore e la sua mente non possano mai vedere la corruzione della malattia e della vecchiaia. Ma soprattutto non gli è permesso conoscere i cristiani che vivono nel suo regno. Il re può tutto, ma diciamo che Dio può qualcosa di più e il giovane Josaphat viene a conoscenza dell'eremita cristiano Barlaam e non solo scopre cose che gli erano precluse e che faranno di lui un misericordioso, ma si converte e sceglie di abbandonare tutti i lussi, difendere i cristiani e vivere come un eremita. Ovviamente il contrasto col padre è duro e drammatico, fino a quando il buon cuore del giovane riesce a portare a Cristo tutti quegli che gli sono vicini, padre compreso.
Ma arriviamo a Parma. O meglio è probabile che ci arrivasse una serie di operai di origine serba a seguito della scuola bizantina di Costantinopoli che nel XIII secolo lavorò all'abbellimento del monumento. Questo si ipotizza studiando in modo analitico tutte le varie scuole che si avvicendarono nel XIII per la conclusione dell'opera e di cui non mi dilungo perché è davvero troppo dettagliato.
Cosa viene rappresentato?
Un ragazzo arrampicato su albero frondoso e ricolmo di frutti è intento a mangiare miele, incurante del fatto che ai suoi piedi un enorme drago gli sputi addosso fuoco e due roditori rosicchino le radici dell'albero. Ai lati i due carri del sole e della luna trainati da cavalli e da buoi compiono il loro rispettivo tragitto proprio correndo contro l'albero.
Questo è il quarto apologo del B&J che l'eremita racconta al giovane per mostrargli le vanità del mondo. Nel testo originale è leggermente modificato: un uomo caduto in un abisso fuggendo dall'unicorno, si aggrappa a un arbusto, mentre due topi (uno bianco e uno nero) ne rosicchiano le radici, e un drago e quattro serpenti lo attendono nel fondo dell'abisso. L'uomo distratto da una goccia di miele dimentica tutti i pericoli.
La versione parmigiana è semplificata, ma mantiene tutti gli elementi che fanno capire al suo osservatore il senso dell' exemplum: le lusinghe del mondo distraggono l'uomo dall'avvicinarsi della morte e dei pericoli che lo circondano. Se pensiamo che è posizionato su una lunetta di uno dei due ingressi del battistero, possiamo ben capire il messaggio che si voleva non tanto dare al battenzando, ma a coloro che battezzati lo erano già, ma troppo distratti dal ricordarsi il messaggio cristiano.
Ancora una volta un monumento parla non a un singolo, ma a un'intera comunità ricordando in modo chiaro e facile (per loro, meno per noi) come ci si dovesse comportare. Ancora una volta il medioevo appare così semplicemente complesso, raccontando su un punto piccolissimo di un edificio a migliaia di chilometri di distanza la storia stravolta, rivista e rivisitata ben due volte da due religioni, del Buddha indiano e della sua straordinarietà spirituale. Per chiunque volesse continuare a pensare che il medievale era un uomo chiuso nel suo mondo, chiuso alle storie altrui e ignorante, si rilegga questa vicenda e verrà smentito.
I libri che ho usato per questo breve post sono
- "Storia di Barlaam e Iosafat" di Cesaretti e Ronchey
- "Il Battistero di Parma. Iconografia Iconologia Fonti Letterarie" a cura di Giorgio Schianchi
- "Medioevo" dicembre 2013
lunedì 21 luglio 2014
Laboratori, bambini e Storia: ce la possiamo fare!
Il lunedì mattina dopo una rievocazione col "Vicus Italicus" mi lascia molto spesso basita. Prima di tutto perché quando sono in rievocazione con loro fare l'ultima ruota del carro è quello che faccio fatica a fare, ma sono bravissima a delegare a chi di dovere tutte le beghe (sì, lo so, Cinzia tu mi odi). Ma fare l'ultima ruota del carro vuol dire anche dover tappare tutti i buchi, dare spazio agli altri, fare una buona spalla per chi serve: col cavolo che mi riposo io! In più sento la mancanza di fare la battagliola, di darmi due legnate ben date, tornare al campo con la risata facile e poi iniziare a contare i lividi coi tuoi compagni d'arme. Nel "Vicus" mi occupo di schiavitù e basta. O meglio...e tutto!
Ho scelto io l'argomento, forse provocatoriamente, perché alla fine l'antica Roma con tutta sta perfezione in realtà non mi piace, non mi è mai piaciuta e non mi piacerà mai. Roma, come tutta la Storia passata, ha splendore e meschinità ed è ora che qualcuno faccia vedere anche il secondo aspetto. Come fare laboratori didattici sulla schiavitù? Ci abbiamo pensato per almeno un anno e alla fine a questo giro (dopo aver provato la versione spettacolarizzata coi rievocatori e il mercato degli schiavi), abbiamo preso la palla al balzo e a "Massaciuccoli Romana" ci siamo buttati...o meglio...mi hanno buttato nella mischia. Mica ero pronta, io.
A questo punto potrei aprire la mia coda di pavone e dire che i miei 12 anni di rievocazione, i miei 24 anni di gioco di ruolo (da tavolo e dal vivo), qualche esperienza di teatro, aver lavorato coi bambini per qualche anno e tanta incoscienza mi ha permesso di sfangarla e di riuscire a creare due moduli di laboratorio completamente differenti per grandi e piccini e cercare loro di far capire cosa potesse essere uno schiavo.
Ovviamente se la versione per i grandi è praticamente sulle mie spalle e sul buon cuore di tutti i rievocatori presenti nell'evento (in quanto rappresentano le figure che noi non abbiamo nel Vicus), nella versione per i piccini devo ringraziare pubblicamente tutto il gruppo, ma in particolar modo Kebenna (ovvero Marilena) che con la sua genuinità, gentilezza e il fatto che è maestra e sa come trattare i piccoli mi ha dato la possibilità di inscenare per 3 ore alla domenica una piccola sequenza "mercato degli schiavi-lavoro sotto padrone-manomissione". Tutto improvvisato, anche il coinvolgere gli altri del gruppo a rappresentare le altre figure del mondo romano (bella la faccia di Daniele quando gli ho stravolto i programmi e trasformato in "magistrato" :D ) dove i piccoli schiavi dovevano destreggiarsi fa le compere dall'ornatrix ("l'unguento di velluto di bellezza!" XD ), il magister scolarum e l'armeria, cercando di rendere contenta la padrona, fra un massaggino e l'altro. Alla fine non so se si sono più divertiti i piccoli aggrappati al cestino, i loro genitori a vederli affrontare questi piccoli compiti, o noi che sapevamo quanto tutto era fatto sul momento e grazie alla nostra bravura (quando c'è vò, c'è vò!).
L'atmosfera era positiva e propositiva, stimolante e alla fine stancante, perché invece di fare solo 20 bambini in 1 ora, me ne sono passati sotto le mani non so quanti per non so quanto tempo. Alla fine ero distrutta e avrei voluto farmi comprare da qualche altro gruppo e fuggire!
Mi spiace non aver potuto fare più esperienze coi grandi (solo un ragazzo a questo giro) sulla schiavitù, perché i ragazzi delle medie sono più stimolanti e coinvolgere anche gli altri gruppi fa un po' parte della nostra filosofia di gruppo: fare circuito, andare oltre alle differenze di scelta rievocativa, appianare qualsiasi inutile astio. Collaborare di più fra noi deve essere un impegno per tutti i rievocatori. Ringrazio il gruppo di "Colonia Iulia Fanestris" (grazie Monia) per aver "prestato" la matrona, il soldato romano e un gladiatore, e il gruppo "Touta Taurini" per un uomo e una donna celtica liberi.
Alla fine della fola, la mia personale riflessione è:
- far capire agli organizzatori che noi facciamo didattica e non baby parking (ma è un discorso generale e non di questo evento);
- far capire ai genitori che devono rimanere presenti ai laboratori perché noi non siamo un baby parking, ma soprattutto perché il laboratorio è un'esperienza che coinvolge tutta la famiglia lasciando loro un buon ricordo (grande il papà che ha passato sottobanco alla figlia "schiava" i soldi per fare la spesa!) e magari stimolandoli a studiare a casa quello che hanno visto con noi;
- far capire a tutti che per fare Storia non bisogna essere un libro di testo e prepararli a una tesina universitaria, ma con la Storia si può ridere, scherzare e divertirsi senza mai dimenticare di dare nozioni corrette e precise sin da subito, perché i bambini sono piante che devono crescere e se gli dai buona acqua verranno su sani e forti, se gli dai cattiva acqua perché "tanto sono bambini" o "cosa vuoi che capiscano" tu sai responsabile della loro ignoranza;
- fare laboratori è stancante più di fare una battaglia quattrocentesca sotto il caldo, ma altrettanto stimolante. Mi rendo conto che non posso dare quanto nel medievale (anche per passione), ma tutto ciò arricchisce me, la mia esperienza da rievocatrice, il mio bagaglio culturale e mi stimola solo a vedere dove posso andare e cosa posso fare di più.
venerdì 13 giugno 2014
"Vikings" un altro telefilm non storico
Non amo guardare i telefilm via pc e non sono nemmeno fanatica nel cercarli sulla tv dovendo fare a botte col telecomando col resto della mia famiglia, quindi quando "History Channel" ha trasmesso questo serial io me lo sono persa, mentre tutti i miei contatti fb che lo stavano guardando lo recensivano entusiasti. Così quando rai 4 a fine maggio ha deciso di trasmetterlo in una giornata super comoda per me mi sono messa a guardare le prime puntate.
La prima scena mi aveva rapito perché veniva rappresentato l'arrivo delle valkirie a prendere lo spirito di un eroe. Mi sono detta: "bello! Non è realistico, ma è veritiero perché questo era quello che speravano e pensavano." Non mi importava che fosse un documentario, mi interessava che quello che veniva espresso fosse coerente. Alla fine della puntata purtroppo ho pensato che fosse un buon fantasy in salsa vichingheggiante. Una delusione, quindi.
Chi ha già letto qualche mia recensione su film o libri storici sa che purtroppo la mia deformazione professionale mi spinge a volere che abiti, estetica e oggettistica varia sia il più attinente possibile all'epoca narrata. Posso capire che è una cosa per perfezionisti, ma visto che la documentazione e lo studio sono più alla portata di mano di tutti mi chiedo che problema ci sia a vestire gli attori in modo consono. Non parliamo di teatro dove la lontananza palco-pubblico crea ovviamente dei problemi di interpretazione, parliamo di cinema: oramai ci fanno vedere anche i pori del naso degli attori!
Anche la scenografia può essere tranquillamente ricostruito in base ai reperti senza per forza dover inventare troppe cose, ma alla fine credo che ai produttori di certi film interessi veramente zero collaborare con archeologi, storici o ricostruttori. Forse rompiamo troppo le scatole? Può essere, ma questo denota che non si ha voglia di fare un prodotto credibile con una buona storia come sceneggiatura. Pazienza.
Torniamo alla storia del telefilm. O meglio no, perché ieri veniva trasmessa la terza puntata e dopo 15 minuti di cose assurde ho deciso di fare altro. Premettendo che non sono una conoscitrice della cultura e storia vichinga nei minimi particolari, quello che a pelle mi ha infastidito è che una popolazione che oggettivamente ha dimostrato di avere cultura, ingegno, spirito di avventura, sistema sociale complesso e una religione tutt'altro che semplicistica fosse rappresentata come un branco di cagnacci pronti ad accoppiarsi con tutto e tutti, senza morale, senza sentimento religioso o superstizioso (tipico di qualsiasi cultura), senza artigiani e botteghe che avessero questo nome.
Non voglio rappresentare gli uomini del nord come gentiluomini pronti a disquisire di antropologia filosofica o di quantistica, perché le cronache angle e irlandesi dimostrano la ferocia con cui attaccavano e depredavano e distruggevano soprattutto i monasteri. Non voglio nemmeno pensare che un qualsiasi paesino della Norvegia possa avere un'urbanistica simile a quella di Roma. Non voglio nemmeno minimizzare che nella società i conflitti sociali e di classe potessero essere all'ordine del giorno. Ma non posso accettare che questi girino vestiti come degli hipster coi capelli rasati alla moda, le sopracciglia fatte, vivendo in catapecchie quasi insieme ai loro animali, con costruttori di barche che vivono in mezzo alla boscaglia come dei folli, con i gioielli che "nascono dagli alberi" perché un orafo come si deve manco esiste! In "Vikings" i nostri eroi sono vestiti di pelle e con grandi pelliccioni aperti che fanno molto glam; non hanno una struttura precisa del clan, ma solo al massimo di fratelli (e forse solo di latte/sangue, eliminando tutto il concetto antico dei fratelli germani); senza problemi offrono le loro mogli agli accoppiamenti con altri uomini (e ciò è accettabile solo per mettere alla luce un complotto, ma non per la lussuria); non conoscono l'esistenza di terre all'est e l'invenzione della bussola casca dal cielo non si sa per quale motivo; il loro conte (ma veramente? Non esistevano le contee in quelle zone da quanto so, forse qui pecca di pessima traduzione) è un piccolo duce che vuole tutto per sè, decide tutto lui, sbeffeggia tutti e tiranneggia perché così gli piace.
Mentre lo guardavo il paragone con "Il tredicesimo guerriero" (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=29462) è stato continuo, ma impari. Per quanto anche il film non si possa considerare un documentario oppure un'opera precisa, quello che colpisce quasi tutti i rievocatori è la sensazione di credibilità di quello narrato. Vi è la religiosità, la capacità di comunicazione anche in altre lingue (bellissima la scena del vichingo e dell'arabo che parlano in latino per comprendersi), la superstizione, l'ingegneria, la voglia di esplorare il mare e di sfidarlo nello stesso tempo, la guerra e la sua arte, la protezione del clan e anche l'essere sbruffoni (non so se lo erano davvero, ma noi tutti ce lo aspettiamo).
Nemmeno il paragone con "Vichinghi" (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=27556) con Kirk Douglas e Tony Curtis regge, perché anche quel film, con tutti gli errori di una sceneggiatura meno accurata, ha tutta un'altra credibilità nel descrivere soprattutto la società e i rapporti sociali fra gli uomini e la legge.
Non essendo riuscita a scindere nella mia testa il fatto che non sia un'opera con almeno vaghi intenti storici, non riuscendo a prenderlo nemmeno per un fantasy (allora mi guardo con più gusto "Games of Thrones"), credo che dalla prossima settimana mi guarderò dell'altro o farò dell'altro, perché non ne vale la pena vedere uno spreco di potenzialità sfruttate per fare il solito glam-provocatorio-ammiccante-più o meno violento telefilm buono per gli ormoni degli spettatori e basta.
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