"L'efferata Erictho, condannati tali barbari riti,
e incantesimi di una gente sinistra perchè troppo pietosi,
aveva sospinto la sordida arte a nuove pratiche.
Era per lei un sacrilegio inchinare il macabro capo
ai tetti di una cittò o ai Lari; abitava in vuoti sepolcri
e occupava i tumuli, scacciate le ombre, grata
agli dei dell'Erebo. Né i Celesti, né l'essere viva
le impedivano di assistere alle silenti riunioni dei morti,
di conoscere le dimore dello Stige e i misteri del sotterraneo Dite.
Un'orribile magrezza scavava le guance della sacrilega, e la faccia
ignara del cielo sereno era orribilmente oppressa
dal pallore stigio e gravata dalla chioma scomposta. Se un nembo
o cupe nubi offuscano le stelle, la Tessala esce
dai nudi sepolcri e cerca di catturare i fulmini notturni.
Dove calpesta, brucia il seme di una messe feconda
e con l'alito corrompe l'aria che prima non era mortale.
Non prega i Celesti, non invoca con supplice canto
l'aiuto d'un nume, ignora le fibre propiziatrici;
s'inebria nel porre sulle are funeree fiaccole
e incenso che ghermisce dai roghi funebri."
Marco Anneo Lucano "Farsaglia"
[libro VI, versi 507-526
edizione bur. traduzione Luca Canali.]
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