domenica 30 dicembre 2012

Una domenica al museo dei burattini

Per "colpa" di questa immagine e della diatriba amichevole fra rievocatori sul suo funzionamento, ho contattato la Famiglia Ferrari per chiedere ragguagli.

foto incriminitata
dall' "Hortus deliciarum" del XII secolo


La Famiglia Ferrari è una vera istituzione a Parma ma non solo: 4 generazioni di burattinai che dedicano a questa antichissima arte, la loro passione, il loro corpo e voce, in poche parole la loro vita.
Ammetto che li conoscevo solo di fama, anche perché per vari motivi non è che abbia avuto la possibilità di vedere tanti burattini dal vivo nella mia infanzia, però riconoscendo la loro bravura ho provato a spedire un'email chiedendo se potessero aiutarmi a decodificare l'immagine.
Mi aspettavo di dover rinunciare alla risposta, forse più per sfiducia nei confronti di una illustre sconosciuta rievocatrice quali sono, più che per prova di loro scontrosità. Difatti la mia sfiducia è stata massacrata nel giro di mezza giornata dove non solo ho ricevuto risposta positiva a darmi delucidazione, ma anche invito a chiederlo prima di un loro spettacolo in dicembre.
Purtroppo la didattica mansio al freddo e al gelo e il mercatino degli hobbisti a cui ho partecipato mi hanno fatto rimandare l'incontro fino ad oggi.
Non sapevo cosa aspettarmi, ma sono stata accolta molto gentilmente da Daniela Ferrari (la bisnipote del fondatore Italo Ferrari), la quale non solo mi ha catapultato dietro le quinte dello spettacolo (sono andata dietro dove si muovono le marionette! Come andare dietro le quinte di un teatro!), ma anche nella cantina dove tengono un po' di materiale, ma soprattutto mi ha permesso di chiedere al resto della compagnia delucidazioni sulla foto.
E' stato emozionante poter parlare tranquillamente di storia, di burattini, di ricostruzione, di mancanza di opportunità e anche di templari, con dei professionisti che faticano e lavorano per non far mancare al mondo una vera arte, ma che non se la tirano per nulla.

Poi mi sono goduta lo spettacolo, che più che uno spettacolo di burattini vero e proprio è stata una vera lezione sulla differenza fra le epoche e le diverse tipologie di burattini, marionette e altro.
Lo spettacolo si è tenuto nel piccolo museo dei burattini nel complesso che ospita i Giardini di San Paolo, la biblioteca Guanda e la superba camera di San Paolo affrescata dal Correggio. Un complesso che si nasconde alla città come un angolo di pace e di cultura, sempre aperto e con tanta gente, proprio nel centro della città stessa: a un passo dal duomo e dal Battistero, a fianco di via Cavou la via del passeggio giovanile, dietro la polivalente e polidistrutta Pilotta. Insomma un vero gioiellino che in estate si apre all'evento dell'horror "I giardini della paura", dimostrando la sua natura poliedrica.

Lo spettacolo, anzi la didattica, era aperta a grandi e piccini e diciamocelo ero l'unica che non avesse a che badare a un piccolo di altezza attorno al mio ginocchio. Di certo la scelta di portare per le feste i piccoli a vedere i burattini è azzeccata e magari si sperava di trovare relax: il signore a fianco a me, eravamo in ultima fila, dopo aver rifilato i gemellini alla moglie in prima fila (le file erano poche perché le stanze piccole), ci ha piantato una ronfata che abbiamo dovuto svegliarlo visto quanto russava...
I piccoli bravi (tranne uno dei due gemelli) hanno ascoltato tutta la lezione quasi in silenzio, ma ammettiamolo si sono solo emozionati quando si spegnevano le luci e "gli umani" sparivano del tutto...e gli adulti con loro.
Divertente, rilassante, da vedere più spesso.

Per quanto riguarda la spiegazione della foto incriminata, loro sono convinti (ma contattando potrò accedere al loro centro studi e magari scoprirne di più) che fossero figure tridimensionali e non sagome, legate con delle corde al bacino in modo che potessero roteare da destra a sinistra, senza poter fare altri movimenti,
simulando proprio uno scontro (infatti si vedono due guerrieri in atto militare).
Non hanno niente a che spartire con pupi siciliani o cose del genere prima di tutto perché non dotati di fili agli arti, ma soprattutto manca l'imbracatura per tenere su il pupo (pesa tantissimo, me lo hanno fatto provare) e per aiutare il puparo a muoverlo. Fra queste sagome e il pupo napoletano (antenato del siciliano, mi hanno detto) corrono veri e propri secoli di storia e di evoluzione dei burattini.
Questa la loro spiegazione logicamente in mezz'ora (ma sono molto precisi con riferimento e altro. Ricordo che la famiglia Ferrari non solo studia, tramanda e recita, ma costruisce i burattini, quindi dalla loro hanno anche l'artigianato vero).

E' stata proprio una domenica proficua.
E divertente

Per saperne di più sul museo dei burattini (ho già chiesto se fosse possibile fare un post con tanto di foto qui sul blog e per loro non ci sono problemi) questo è il sito:
http://www.castellodeiburattini.it/project/default.asp

Per chi passa da Parma dovrebbe diventare un altro punto fisso, visto che all'estero lo conoscono molto più di noi.

martedì 27 novembre 2012

Gemellaggio a 3...con sorpresa!

Come ogni anno verso Novembre o verso Febbraio due gruppi di folli rievocatori si muovono senza tende, armamenti e vestiti storici, ma con tutta la loro contemporaneità e follia per trovarsi.
"Templari sotto spirito".
"Grifoni alla parmigiana".
Ovvero Mansio Templi Parmensis e Grifoni Rantolanti in trasferta.
Ci conosciamo credo da quasi 8 anni; prima Quattrocastella, poi la mia appendicite ad Altopascio e non ci siamo più lasciati. Sembra quasi un rapporto amoroso...ahahahahahah!
Beh in un certo senso...
Quattro anni fa, dopo anni di sole rievocazioni, abbiamo deciso che, sì, ci mancavamo reciprocamente e che, sì, per una volta ogni tanto potevamo fare qualcosa di più rilassante e quindi il 14 febbraio abbiamo sancito, con rispettivi regali, in terra Friulana il gemellaggio. Nello stesso anno abbiamo replicato in terra parmigiana in novembre. Poi abbiamo deciso che la crisi ci avrebbe messo in crisi e quindi la rievocazione del gemellaggio si sarebbe compiuto una volta all'anno alternandoci.

Organizzare un gemellaggio non è mica facile e di solito impieghiamo almeno due mesi a decidere la data e a coordinarci tutti quanti, ma alla fine arriva l'ora zero e siamo pronti!

Quest'anno poi è stato strano.
Vengo da un periodo altalenante. Mi rendo conto che fare il rievocatore e tutto quello che comporta (lo studio, la ricostruzione, il confronto, la documentazione, la sperimentazione e gli allenamenti) è quello che più amo fare. Poi mi rendo conto che è una progettazione senza un futuro certo, senza una credibilità sociale, senza speranze mi viene da dire. E allora salgono i pensieri. E i pensieri sono sempre oscuri...
Quando poi decido che tanto quello che amo fare è quello che amo fare e non c'è santo che tenga che riesca a tenermi lontano da tutto ciò, allora mi rimbocco le maniche e spesso sale anche la rabbia.
Quindi il pregemellaggio era foriero di stanchezza e pensieri e dubbi e stanchezza (so che l'ho già detto, ma era un rafforzativo, insomma!).
Poi la bolla è scoppiata e sinceramente i pensieri sono andati a farsi friggere, anzi sono proprio stati presi a pedate!
Primo perché, anche se non c'era la vecchia guardia Grifonica, quando "guelfi" e "ghibellini" (improprio chiamarci così, ma è un bel modo di scherzare fra di noi) si ripigliano scocca la follia. E si ride, ci si prende in giro e si ricordano brutte figure e bei ricordi. Se poi, quando meno te lo aspetti, spuntano dalla porta di casa del Conte Marc il Siniscalco e alcuni dei Blanc Manteaux, allora salgono agli occhi lacrime di felicità.
Tutto ha preso una piega leggera, tranquilla, solare: tutte le emozioni moltiplicate per tre.

Sabato sera a mangiare tortelli, torta fritta & salume!



In una sala affollata di gente normale noi ce ne siamo propriamente infischiati e abbiamo fatto tutto quello che facciamo normalmente in campo: casino. Cantare, ridere, foto, scherzi, "chi è in mezzo" fino a quando ci hanno benevolmente cacciato all' 1.00 di notte.

Il giorno dopo poi doppia visita a Roccabianca: rocca e November Pork.





E non ci hanno fermato nemmeno i disguidi tecnici. Perché di ogni piccolo e normale ostacolo riusciamo sempre a farci una risata in più.


Ci hanno scaldato chiacchiere e anolini (conquistando friulani alla follia).



E poi quando, dopo un giro veloce della pista, abbiamo riaccompagnato i grifoni alla stazione (in treno??? O_o), senza nemmeno il tempo dei saluti che portano alla tristezza, quelli che ti fanno capire che la bella giornata è finita e tocca archiviarla nei bei ricordi, tutto continua coi francesi.

Premetto che non ho studiato il francese, non so il francese, ma da quando li conosco inizio a capire il francese, ma da qui a passare con loro 5, mio fratello e lo Duca Nostro tutto il pomeriggio della domenica portandoli a far vedere il Battistero (ne sono rimasti entusiasti) e parlare di storia, rievocazione e sperimentazione, beh è stato veramente troppo per il mio povero neurone!




Quello che non ho potuto fotografare è la mia gioia per il fine settimana appena trascorso; per tutti gli stimoli che mi hanno ridato forza per continuare a fare il rievocatore; per tutte le emozioni provate.
Quando sono ritornata a casa con mio fratello continuavo a sorridere e quasi a saltare come una bambina.
Grazie Grifoni Rantolanti per essere gli Amici di sempre.
Grazie ai Blanc Manteaux per essere i Confratelli di sempre.
Grazie agli Amici veri, agli amici conosciuti, ai nipoti ghibellini acquisiti.


venerdì 9 novembre 2012

La zucca nella Storia

Dopo aver parlato di amenità contemporanee è il caso di fare una piccola digressione nella Storia. 
Sappiate, a scanso di equivoci, che la storia della zucca è pre e post scoperta dell'America, questo perché non è assolutamente vero che prima dello "sbaglio" di Colombo noi non avevamo la zucca, ma piuttosto avevamo specie diverse di zucca che poi, purtroppo, sono state soppiantate da quelle americane. Anche se non del tutto.

La Lagenaria vulgaris è una pianta annua, rampicante, con fiori bianchi dal peduncolo lungo, frutti a buccia liscia, dura e sottile. di forma varia, ma simile a una bottiglia.
E' originaria di gran parte del vecchio mondo (dall'India all'Abissinia) e si è diffusa ovunque abbia trovato climi temperati.



La Lagenaria siceraria"Zucca dei pellegrini" ha un aspetto un po' più rozzo, dal collo più largo e strozzato alla base


La zucca trombetta invece è lunga ed anguiforme con un rigonfiamento ovoidale all'estremità.


in questo sito ho trovato questa bellissima foto e potete trovare tantissime altre foto di zucche con la spiegazione delle varie differenze.

Plinio (Storia Naturale XIX, 69) le divide in due attraverso la tipologia di coltivazione:
plebeiae o comuni cioè quelle che si lasciano espandere sul terreno;
camarariae quelle che si avviluppano sui pergolati.

Columella (L'arte dell'agricoltura e libro sugli alberi X, 381-385) da consigli per la coltivazione:
se si vogliono lunghe e sottili, raccogliere i semi dall'attaccatura del collo; se si vogliono invece grandi e rotonde prendere i semi dalla parte più panciuta.

Per il periodo medievale, nel Cinquecento viene attestata la coltivazione di zucche "indiane" e di zucche "marine, "che hanno tutte forma di melloni" (Mattioli 1568, p.542).
Nei Taccuini sanitatis vengono raffigurate delle lagenarie, ma il gusto doveva risultare un po' insipido se non addirittura amare se pensiamo che negli usi di cucina si consiglia di raccoglierle prima che maturino, con la buccia verde e che si possa tagliare o raschiare con facilità.
La zucca viene considerata un alimento di natura fredda e umida, digeribile ma poco nutriente e produttivo di flemma; giova alle complessioni calde e nuoce a quelle fredde.

Ricettina di Anonimo Padovano (fine XV-inizio XVI): zucca con lardo:
mondare le zucche, tagliarle a pezzi e metterle nella pentola insieme al lardo battuto. Cuocere a fuoco dolce e rimestare continuamente. Si aggiunge poi il brodo di carne grasso colorato con un poco di zafferano, poi zucchero, spezie dolci e, a piacere, agresto.

"La zucha è come homo ch'è indiferente a fare bene o male, che conversando con boni diventa bono, con cativi, cativo. Cossì la zucha: con boni cibi manzata è bona, con cativi, cativa." (Savonarola 1515).

In  MM [1] si possono trovare delle ricette per zuppe dense:
cuocere la zucca in brodo di carne o anche solo acqua, e cipolle. Poi si scola tutto e lo si pesta nel mortaio e lo si passa per la stamigna, rimettendo a cuocere nel brodo grasso con un un poco di agresto e colorandolo con lo zafferano. La minestra va poi raddensata, fuori dal fuoco, con uova (solo i tuorli) e formaggio stagionato grattugiato. Servire con spezie dolci.

Leggendo il libro da cui traggo tutte queste informazioni ("La cucina medievale" di E.Carnevale Schianca) si può notare che su per giù quasi tutte le zuppe girano attorno a questo tipo di ricetta, magari cambiando un po' le spezie (per esempio aggiungendo il pepe), mente se si parla di zuppe di magro o quaresimali per gli ammalati la zucca si prepara generalmente con il latte di mandorle.
Di certo non ci si negava nulla nel Rinascimento e quindi le zucche venivano anche fritte, con zafferano agresto e spezie oppure fatte a frittelle.

Frittelle di zucca:
mistura di tuorli rassodati, menta, prezzemolo, formaggio grattugiato, uva passa, pepe e cannella. Il tutto pestato e stemperato con uova crude; quindi unito alla zucca lessata e pestata col miele.
Oppure zucca cotta, amalgamate con pesto di prezzemolo, menta, maggiorana e pepe e legate con tuorli d'uova.

Nel Medioevo poi bisogna ricordarsi che per torta si intende un piatto salato e non dolce quindi l'abbinamento zucca, spezie e carne (di maiale e anche di pollo) non era una cosa anomala.
Ricettina di Mastro Martino per una torta di zucca:
mondare la zucca, grattugiarla e lessarla nel brodo o nel latte; mescolarla con una libbra e mezza di formaggio fresco , un po' di formaggio stagionato grattugiato, una libbra di pancetta di maiale (o di tettina di vitella) lessata e ben battuta (oppure l'equivalente di burro o strutto), mezza libbra di zucchero, 6 uova, un bicchiere di latte, zenzero, cannella e zafferano; la torta è ad una sola sfoglia.

Per il suo gusto dolcino, ma delicato e per la sua consistenza, la zucca fu usata anche per la pasticceria minuta.
Ricettina dei "ravioli de zuche" di MOR [2]
ripieno: "zuchoti teneri" raschiati in superficie, privati dei semi e tagliati in cubetti e lessati. Poi strizzati bene e pestati, mescolati con formaggio grattugiato, ricotta, sale, zenzero, cannella e zafferano, un battuto di basilico e maggiorana. La pasta è di farina bianca intrisa con albume. Devono essere grandi (15 cm) tondi o quadrati poco importa, e per la dimensione la cottura prevede che vengano lessati. Si servono nei piattelli, messi a strati e sovrapposti e irrorati con una salsa di burro, formaggio, zenzero, cannella e chiodi di garofano.

Oppure si possono anche fare dei ravioli fritti con all'interno zucca, mandorle e spezie e poi si spolverizzano di zucchero. E questi vengono considerati ravioli quaresimali...

Ultima curiosità: la zucca tenera, raschiata in superficie e tagliata per il lungo in strisce, veniva fatta seccare e usata come riserva alimentare per l'inverno dai contadini (Bartolomeo Sacchi detto "Platina").

Rileggendo l'articolo dedicato alla zucca nella bella enciclopedia della cucina medievali mi rendo conto che gli accostamenti con le spezie non cambiano, anzi; che la zucca va bene con carne e formaggio; che l'uso della zucca è maggiormente diffuso nel Rinascimento che in epoche precedenti; ma soprattutto che queste ricette fanno venire l'acquolina in bocca e che alla fine non sono nemmeno troppo dissimili dal nostro gusto.



NOTE
[1] = Ms Urbinate Latino 1203, Biblioteca Apostolica Vaticana, databile alla fine del XV sec o agli inizi del XVI, forse in Toscana
[2] = Morimondo, Ms "Ricettario", Società Storica Comense, risalente al XV secolo e contiene 155 ricette

lunedì 5 novembre 2012

Aspettando il Grande Cocomero o la Grande Zucca

Chi mi conosce sa benissimo che non festeggio Halloween (perché sono in costume tutto l'anno e quindi non ne sento la mancanza e anche perché non rientra nelle mie credenze religiose), ma di solito mi piace guardarmi film dell'horror o cose del genere. In fin dei conti la notte che precede la festa di Ognissanti (non a caso la Chiesa ha messo una festa del genere dopo una notte così impegnativa) credeva nel ritorno dei morti nel mondo dei vivi, quindi una cosa molto horror.
Quest'anno invece per rilassare gli animi mi sono messa a pensare che potesse avere ragione Linus, dei Peanuts, che si poteva aspettare l'arrivo del Grande Cocomero. In Italia cocomero è stato inspiegabilmente usato per tradurre pumpkin che è la zucca. Linus aspetta la Grande Zucca, in realtà.


Così per aspettare la Grande Zucca, mi sono messa a cucinare pane e muffin. 
Sul pane ho dei seri dubbi, visto che non riesco a capire come mai sia venuto bassissimo. Di certo era un impasto molto liquido e ho dovuto usare una forma da plumcake per metterlo in forno. Proverò a rifarlo (ho trovato della zucca in frezeer e quindi da usare) senza usare forme di alcun modo. 


crosta molto bella
colore giallo arancio 


alveolatura buona, ma non mi ha convinto molto. Rimane un po' ammassato in alcuni punti.
Se qualcuno avesse dritte da darmi sono assolutamente benvenute.

Mentre i muffin sono stati una vera rivelazione e sono venuti benissimo, anche se non avevo calcolato la quantità di impasto e quindi sono andata a cercare all'ultimo minuto tutti gli stampi possibili immaginabili di silicone che potessi avere in casa. Ecco perché ci sono maialini, cuori e formine natalizie (devo però comprare quelle di halloween).





Di questi vi metto la ricetta, scaricata dalla mia mamma via internet (spero che riesca a riprendere il link per poterlo postare)
In realtà sono dolcetti ripieni dalla farcia, io però li ho fatti semplici e quindi metto la ricetta come l'ho fatta e modificata (non avevo abbastanza spezie di quelle richieste e ho dovuto rimediare).

RICETTA
Ingredienti
100 gr di zucca cotta a vapore
2 uova
200 gr zucchero di canna 
spezie: cannella, chiodi di garofano tritati, anice stellato tritato, zenzero. [nella ricetta originale c'è un cucchiaino di cannella e poi q.b degli altri, e non c'era lo zenzero. La mia miscela fatta a occhio a me è piaciuta comunque, perché lo zenzero da un po' di pizzicorino molto piacevole]
1 pizzico di sale
80 gr di burro fuso e freddo
100 gr latte
180 gr manitoba
1/2 bustina di lievito per dolci

Unire con le fruste elettriche le uova, lo zucchero, le spezie e il sale.
Poi unire anche il burro, il latte, la zucca, la farina e il lievito
Versare negli stampini a 3/4 della capienza.
Cuocere a 180° per 15'.
Raffreddare e poi sformare.

Fatti! Semplicissimi e molto buoni.
Conservarli in una scatola ermetica permette di poterli gustare a lungo, se no tendono a seccarsi.

Ora per non fare un post troppo lungo, posticipo la parte storica sulla zucca al prossimo post.

Con la grande pioggia forse anche il Grande Cocomero se ne è stato a casa e io capisco benissimo Linus...
... e non credete a chi si spaccia per il Grande Cocomero! ;)


lunedì 15 ottobre 2012

Grafica per il blog

Non ho così tanto seguito nel blog (molto di più su fb, ma che volete è più immediato, quotidiano, anche meno ragionato Facebook, quindi ci sta), ma questo non vuol dire che non mi piaccia l'idea di dargli un'immagine anche più glamour. Va bene, non c'entra nulla col medioevo il glamour (anche se sono convinta che non sia così e prima o poi lo capirete) e ancor meno con la rievocazione (ecco qui ho ragione senza dubbi), però un blog può essere anche un po' artistico.
A volte giro sui blog (quelli che seguo o meno) e vedo delle foto fichissime, artistiche, patinate e un po' io mi deprimo...
Di certo fotografare spade a una mano, reperti archeologici, fili da lavorare, fatica, sangue e sudore è più difficile che farlo delle proprie esperienze culinarie o manufatti ai ferri, ma poi mi dico: perché no?
E allora via a cercare un programmino per rendere alcune foto un po' più artistiche.

Così vi presento i miei due ultimi ricami a punto catenella (sto avendo molte soddisfazioni devo ammetterlo).

cavallo celtico


maschera barbuta



Che ne dite?
Io mi sono divertita un sacco a lavorarci su.
Ho usato questo bel programmino, anche se ho avuto qualche problema con google crome per caricare le foto; vi è anche l'opzione modifica per halloween.

domenica 14 ottobre 2012

Che noia che barba le foto in bianco e nero

Un piccolo sfogo.
Veloce. Fidatevi.

Ma è mai possibile che nei libri di storia, di arte, nei cataloghi (quelli meno costosi, ma non è detto) debbano pubblicare foto in bianco e nero di reperti iconografici quali dipinti, tessuti, architettura e anche scultura?
So benissimo che è una scelta editoriale visto che le foto in bianco e nero costano di meno di quelle a colori, ma allora non mettetele! Non fate il catalogo! Non citate nello scritto, sottolineandone colori e sfumature!
E' una presa in giro per il lettore.

Okkei lo so, io sono fiscale, noiosa e puntigliosa, ma tutti dovrebbero esserlo.
Dovremmo pretendere traduzioni fedeli, impaginazioni corrette e foto decenti, perché l'editore fa un patto con noi quando noi gli compriamo un libro. Un patto di fiducia e rispetto. Io non gli do soldi falsi e lui non mi da un prodotto a metà.
Ho amici piccoli editori che fanno i salti mortali per riuscire a dare alle stampe buoni prodotti, perché sanno che solo dando buoni prodotti potranno farsi conoscere e far vedere quanto valgono.
Inizio a temere che le grandi case editrici possano aver perso questo fuoco sacro...

Comunque, tornando alle foto in bianco e nero: che facciamo?
Datemi un'idea per poter chiedere, pretendere e ottenere (sento una fortissima risata provenire dall'aria) che le foto siano alla stessa altezza del prodotto che si compra?

lunedì 8 ottobre 2012

Turista svagato e spaesato

Sono stata in ferie la settimana scorsa a Firenze coi miei, o meglio ho fatto la turista con mia mamma mentre mio padre lavorava.
Quando non sono con rievocatori o con uscite dedicate a musei o mostre, torno a essere un semplice turista e cammino per la città girando un po' a caso, entrando in chiese o piccoli musei come mi gira, guardando i palazzi e fotografando lampioni e nuvole. Fa bene fare il turista svagato dico io, fa bene alla testa.
Firenze poi, come le grandi città italiane, è un insieme di tantissimi monumenti, musei, mostre e cultura che sarebbe sempre un delitto fare una scelta fra una cosa o l'altra, quindi è meglio lasciarsi guidare dal caso.

Ma qui non voglio raccontarvi delle mie ferie, che sono mie e che mi tengo per me, per quanto pubblicherò alcune foto di reperti della Cripta di Santa Reparata, ma voglio raccontarvi di come Firenze mi abbia spaventato. Non parlo della delinquenza che non ho mai avvertito (che ci sarà visto la mole di gente, la grandezza della città, la normalità della presenza), ma parlo della sua snaturazione per far felice il turista straniero.
Firenze vive di turismo, come di industria della pelle, di indotto, di tanto altro, ma la sensazione è che le zone più trafficate da stranieri si siano inchinati alle loro voglie. Ci sono camerieri che cercano di accaparrarsi clienti per ristoranti che fanno "spaghetti alla bolognese" (vi giuro che se trovo quello che ha iniziato sta storia, lo impicco sulla pubblica piazza: NON esistono gli spaghetti alla bolognese! Provate ad andare in trattoria a Bologna a sentire cosa vi rispondono. Se osate mangiarli, vi metto alla gogna anche a voi!), che fanno cibo tutto uguale, di cui dubito il protocollo. Camerieri che parlano uno stentato inglese (come potrei parlarlo io che lo capisco, ma grazie a inetti insegnanti e a  mie incapacità non parlo), ripetendo a macchinetta le solite cose e tralasciando domande che non capiscono.
Bisogna allontanarsi dalla vie normali, rimanendo nel centro, per trovare trattorie che ti servono una fiorentina come si deve, una zuppa toscana o dei crostini buoni.
I negozi attorno al duomo sono quelli che potresti trovare ovunque in ogni città, le grandi multinazionali del "tutti uguali ovunque vai".
Nei negozi ti accolgono solo in inglese e solo dopo che capiscono che sei italiano ti parlano nella tua lingua (per quanto io entri sempre con un "buongiorno" ovunque vada, per rispetto). Mi direte che è normale, che si deve fare così, ma io credo che sia corretto che lo straniero sia ben accolto, sia aiutato, ma che debba capire dove va e che quindi si sforzi di imparare del posto che visita.

Firenze è multiculturale, basta salire su un autobus. E questo è un bene. Chi mi conosce sa che sono razzista solo con i delinquenti e che gli stranieri mi spaventano solo se vogliono fregarsene e distruggere la nostra cultura; mentre gli onesti, coloro che condividono rispettando sono una vera risorsa per tutti, anche perché l'Italia che siamo è figlia di mille culture e razze e dominazioni...
Però...però...però...nella Firenze turistica l'italiano sembra scomparso. Non lo senti parlare. Non arriva alle orecchie.
Ho girato due giorni come una matta e alla fine lontano dalle zone più frequentate ho trovato un Vernacoliere.
Questa è la Firenze che io voglio!
Quella che è elegante, snob, dura, irriverente, dalla battuta feroce e tagliente e volgare; quella che pensa di essere ancora una signoria anche se del tempo che fu; quella che ama il buon vino, il buon cibo; quella dell'accademia delle arti (per trovare una cartolibreria degna di tal nome, eliminando il paradiso Fabriano, anche lì a girare...e poi in vicoli abbandonati) dove i ragazzi disegnano i monumenti perché imparano; quella della politica fervente di pancia; quella che ti cita Dante come se fosse il vicino di casa incontrato la mattina per il caffè.
Forse cerco una Firenze che c'è ancora ma che ha abdicato dalle zone più storiche di sua proprietà, che si rinchiude in bar periferici, nelle case.
E questo non mi piace.

Non mi piace pensando a chi vorrebbe che questa Italia vivesse solo di turismo e suo indotto, abbandonando le industrie, la ricerca e tanto altro.
Non mi piace perché non voglio essere la disneyworld di ignoranti turisti che nella stessa forchetta-boccone mettono lasagne e patatine fritte (l'ho visto con questi miei occhi).
Non mi piace perché la via dei Georgofili viene saltata anche dai turisti italiani, come se fosse una cosa che non riguarda la Storia (visto anche quello coi miei occhi. Mentre io mi soffermavo dolente a ricordare, italiani in gita non sapevano nemmeno cosa fosse e se ne sono andati).
Non mi piace perché non voglio che questa meravigliosa Italia diversa da nord a sud in ogni suo chilometro, divenga una puttana che tutti possono comprare e gestire come pare e piace.

Vorrei poter tornare a Firenze un giorno e trovare quello spirito verace, corrosivo e meraviglioso che ho trovato in tanti amici fiorentini, ma che a Firenze non ho trovato.

Mi spiace parlarne male, ma sappiate che non è una questione personale. E' Firenze, ma poteva essere qualunque altra grande città il cui turismo è una voce imponente nel bilancio.


p.s.: per tutti gli amici, lettori, fiorentini: so che ognuno di voi potrebbe farmi vedere la vera Firenze e sappiate che un giorno sarete costretti a fare da Ciceroni, ma bisogna permettere anche al turista svagato (in senso buono) e solitario di poter goderne anche senza guida della vostra anima fiorentina.

domenica 2 settembre 2012

Un sorriso vale più di mille parole

Ogni tanto qualcuno mi chiede, dopo che sono tornata da una rievocazione, un resoconto dell'evento. Io faccio fatica a fare una cronaca, perché una rievocazione non è un susseguirsi di cose viste, di dettagli filologici o meno scoperti, di richieste da parte dell'organizzazione, di posti visitati (ecco questo proprio no, visto che raramente abbiamo tempo per fare i turisti, anche se ogni tanto scappa). Soprattutto quando sono 10 anni che vai in giro per Italia e all'estero queste cose non le noti più, sono dettagli noiosi.
Quando vado in rievocazione spesso ritorno in campi che frequento da anni, mi guardo attorno per salutare i vecchi amici, stringerli in abbracci, sapere come stanno; dopo che è un anno che bazzico su fb essa è anche l'occasione per incontrare davvero i tuoi contatti, guardarli negli occhi e vedere delle persone dietro un profilo. Poi ci sono i rapporti diplomatici con gruppi, artigiani, organizzazioni, e queste le fai se sai di cosa parlare e come parlare.
In rievocazione a volte è anche difficile riuscire a uscire dal proprio campo visto la mole di lavoro che devi fare e l'attenzione a che tutto possa andare bene e tutto ciò non si può descrivere, perché non sono un manuale umano per nuovi rievocatori. 
La rievocazione la si deve vivere dall'interno, quando senti la fatica, la puzza, il dolore, l'umido sulla pelle; quando le cose vanno bene e altre le devi rimediare perché vadano bene; quando devi mediare con i caratteri di tutti e anche (a volte soprattutto) col tuo.
A volte torni a casa distrutta, a volte vorresti smettere, a volte sei felice e non vorresti mai smettere e capisci perché hai iniziato e perché vuoi andare avanti.
Di solito queste emozioni le provo quando torniamo da La Barben dopo una bella e conosciuta rievocazione francese dove è bello rincontrare gli amici, picchiare gli amici, ridere ed emozionarti quando tutti insieme (noi, i Blanc Manteaux, i Grifoni e tanti altri) vediamo i nuovi diventare sergenti o i meritevoli diventare cavalieri.
In Italia raramente provo la stessa emozione, forse perché raramente ci sono momenti in cui i rievocatori possono stare fra di loro oppure hanno la possibilità di gestire il proprio tempo e quindi "interpretare" un personaggio.
Brescia è stata così e ce la siamo proprio goduta.
Ma anche l'ultima, appena fatta, cioè Mantova Medievale.

Se non siete potuti venire vi siete persi una gran bella rievocazione!
Il prossimo anno pensateci e non fatevela scappare.

Ma quello che voglio dire non è tanto cosa abbiamo fatto, quanti amici ho rivisto, o quanto stupenderrima era la mia tenda arredata.
Quello che voglio dire è che a volte da una foto traspare quello che siamo e che le persone dovrebbero guardarle bene e capire che i preconcetti (anche in buona fede) sono deleteri. Quello che voglio farvi vedere è chi sono io davvero.
Perché quello che avete letto è solo una parte di me.
Una parte del mio lavoro da rievocatrice. 
Non so perché, ma per ora vi ho mostrato solo la parte che io sto stessa sto imparando, capendo nuove tecniche, antichi mestieri.
Quello che sono è tanto e tutt'altro. E chi mi conosce davvero lo sa.
Non cerca di mettermi in una scatola, in un ruolo, in una figurina. Chi mi conosce non si pone il problema di catalogarmi, perché lo sa che non è possibile e che non lo sopporto (chi lo fa scatena la mia ira. E non è un modo di dire).

A Mantova Medievale, come ci sta capitando da almeno un anno e più, ci sono stati tantissimi fotografi che ci hanno immortalato sia posando che prendendoci nella nostra normalità. Tutti i rievocatori lo sanno e il rumore delle macchine fotografiche si sente, ma dopo poco te ne fai una ragione e te lo dimentichi e sei te stesso.
Quindi il lunedì dopo trovi la vera motivazione per cui si rimane su fb: vedersi in foto!
E scopri quello che vedono di te gli altri e scopri anche cosa comunichi.

Di certo io aspettavo fortemente questa foto, chiesta e ottenuta da Camillo Balossini. Avevo arredato la tenda anche perché lui mi facesse quella foto. Mi serviva una foto seria, elegante e femminile. Mi serviva per quello che sto facendo anche qui sul blog.


foto di Camillo Balossini


Stupenda!
Molto meglio di quanto mi immaginassi. Ha tutto quello che mi aspettavo che si vedesse. Mi fa anche le gambe lunghe! 
Sono rimasta a guardarla per lunghi minuti e non trovavo niente che non fosse a posto, preciso, proprio come la volessi io. Balossini come al solito è riuscito a cogliere tutto il racconto che sta dietro a un personaggio rievocato e lo rende vivo. Qualcuno dirà che è tutto merito del rievocatore, ma io penso che se non è il "lettore" (cioè lo spettatore) che decodifica il nostro lavoro e la nostra passione, nessun altro lo può fare.
Lui lo ha fatto e io ne sono felice.
Se volete vedere le altre sue foto di Mantova Medievale le trovate qui sul suo profilo fb.

Poi più il tempo passava e più foto veniva fuori e le emozioni ritornavano alla memoria (beh non era passato tanto tempo, ma capite sembrava di essere di nuovo lì sul lungo lago). E vedi particolari che ti erano sfuggiti, eventi che avevi perso, situazioni ricreate per dare l'idea di essere tornati nel 1403 (noi c'entriamo come i cavoli a merenda, ma tant'è!). Ridi, ti emozioni e poi ti vedi!
Ti vedi per come sei, per quello che hai vissuto, per quello che in una rievocazione ti ha emozionato davvero. E sei felice a vederti così.
Ripensi alla fatica, alle botte prese in testa, al dolore al polso colpa di una scudata; senti ancora il fiato corto, la milza dolorante, la tachicardia che ti toglie il fiato; la testa che ti scoppia dal gran caldo, il respiro bollente. Ricordi tutto, ogni singolo istante e...sei felice.
Perché non c'è manufatto che io possa fare che possa strapparmi la stessa sensazione di essermi guadagnata il mio posto come stare in seconda linea, dire scemenze con bestioni il doppio di me prima che lo scontro abbia inizio, ma che si comportano come se il sesso non fosse un problema: se sei sul campo di battaglia vuol dire che sei pronta a prenderle e che non scapperai dalla mamma piangendo. 
E io sono pronta. Sono diventata pronta con tutti i lividi che mi sono fatta in allenamento durante l'inverno a scherma, con tutte le botte prese, con tutta la fatica e il voler spostare il limite fisico un po' più in là.
E allora ho visto che chi sono veramente io a volte viene fuori in tutta la sua verità e spontaneità.


foto di Paolo Tamassia
e il suo album fb di Mantova Medievale 

Eccomi dopo una delle più divertenti e oneste battaglie che io abbia mai fatto negli ultimi tempi (ovvio tolta la Barben). Ne ho prese tante, mi ha abbattuto una alabarda sulla crapa che mi ha fatto vedere le stelle, ma non sono mai stata bene come in quel momento. E sì, ridevo di gioia!
Questa sono io: con 12 kg di armatura (solo perché è più corto l'usbergo, ma ne avrò uno corretto!), con il gambeson che puzza come 10 capre, con il fisico da "Sergente Bialetti" (primo soprannome datomi), con tutto il possibile per mascherare che io sia una donna.

Tutto il resto è uno stupendo corollario (che vorrei aumentasse ovvio) di una rievocatrice che ha iniziato a fare rievocazione perché poteva finalmente imparare a combattere con una spada vera e che non vorrà mai smettere di farlo, anzi che vorrà spostare il limite del proprio fisico un po' più in là e capire davvero quanto cavolo sia faticoso fare il cavaliere!


mercoledì 22 agosto 2012

Nascono serpenti in estate

Chi mi conosce sa benissimo che io potrei fare tante cose, ma il ricamo non proprio.
Se ritiro fuori i miei sbordacci infantili, dico che si salvano solo i ricami a punto croce fatti alle elementari per la festa della mamma (ah le suore e i lavori manuali!). Andavo bene, ma erano semplici. Quando ho tentato di replicare la manualità di mia mamma (che ricama benissimo. Invidia!) ho scoperto che non stavo attenta e che il dietro era un vero e proprio disastro. Il mio problema era prevedere dove far andare il filo in modo da sprecarne il meno possibile e avere un disegno leggibile sia sul fronte che sul retro.

Così ho smesso.
Accantonato aghi e fili e fatto altro. Poco altro in questo campo devo essere sincera.

Poi sono arrivati gli anni della rievocazione e tante idee da fare, tanti libri da leggere. Dopo 10 anni di rievocazione e tanti libri ancora da leggere, si è arrivati al fare. E sono rimasti i pensieri della vita vera e quindi bisogna che la testa venga in qualche modo distratta.
E quindi imparato una tecnica di tessitura (di cui vado fiera anche se devo imparare tantissimo), ripreso in mano ferri da maglia e uncinetto (anche se solo per poco visto che non ho così tanta affinità. Diciamo che non trovo da fare quello che mi piace. Tranne gli amigurumi e le coperte old style. Ma vi dirò poi.).
Quando poi ti incuriosisci di qualcosa ti viene da girare a cercare immagini e sono capitata su un sito meraviglioso: Othala Craft.
Fanno ricostruzione di abbigliamento vichingo. Sono davvero un mito fra le rievocatrici che bazzicano il filo. Più guardavo le foto e più mi chiedevo come rifare certe cose. No, non passerò nei vichinghi, anche se mi piacciono; sì potrei usare tutto ciò per il fantasy e rendere il tutto ancor più tamarro (adoro unire la Storia col Fantasy, perché da un tocco più credibile, più vivo, più bello). 
Così spinta dai consigli di amiche conosciute via fb nel gruppo "Tramando e Ordendo" (non so per quanti sia visibile...), da cui è nato anche un blog http://tramandordendo.blogspot.it/ , abbiamo valutato che certi ricami fossero fatti con il punto catenella. 

Ora non so da che parte si prenda e ho provato a leggere i libri di mia mamma sul ricamo, ma c'era sempre qualcosa che non scattava nel cervello (pigrizia ovvio, spero, insomma...), poi conoscendo Fata Lù ad Aquileia e guardando due immagini su internet ho detto: "provo". E ho fatto.

Scaricata l'immagine di un ricamo fatto da Othala.
Comprata stoffa all'ikea (hanno alcuni buoni tessuti a un prezzo accettabile. Io ho trovato del cotone color naturale: 2 metri a 5 euro totali. Un buon affare).
Cercato il cerchio da ricamo nell'antro ordinato di mia mamma, ma sempre antro perché c'è quasi tutto lo scibile del fai da te.
Preso il tavolo luminoso di mio fratello per ricalcare il disegno.
Comprato al mercato filo nero da ricamo.
Aperta una delle mie scatole del "teniamolo/prendilo che prima o poi servirà" e trovati 2 colori per i serpenti.
E poi tanta pazienza.
E tanta tv! Perché il punto catenella soddisfa le mie esigenze da lavoratrice distratta: fare e staccare il cervello, mentre c'è del rumore di sottofondo. Di solito mentre tesso guardo i documentari, qui ho guardato tanti gialli e i cacciatori di fantasmi. Perché faccio così? Perché riesco a spegnere il cervello, a non pensare e quindi a non stressarmi e a trasformare il fare in qualcosa di "terapeutico".

In giro di 10 giorni sono riuscita a fare questo.










Molti punti sono scappati, non belli, ma più ne facevo e più il lavoro veniva bene e i punti precisi e chiari.
Per chi ha imparato una tecnica solo da 10 giorni, devo dire (con molto autostima che merito e poca modestia per una volta) che sono stata veramente brava. 
Alla fine ero stanca. Lavorare tutti i giorni almeno 4 ore nella giornata mi ha stancato e fatto venire i calli alle falangi (porcaccia la miseria e adesso come faccio? Dovrò fare dei begli impacchi con la crema per ammorbidirle).
Ora devo trovare un altro disegno da montare per Mantova Medievale per questo fine settimana. Fa troppo caldo per le tavolette.

E questo poi significa che andrò a depredare l'antro dei filati di mia mamma, se lei lo permette. Se no alla ricerca di rotoloni a basso costo per mercatini, negozi che svendono o capannoni di tessuti.
Al prossimo disegno.

p.s.: logico che dovrò saperne di più sulla storia del punto catenella. Avete libri da consigliarmi? Libri che tornino indietro di millenni, perché di solito nei libri di storia del ricamo tutto nasce nel Rinascimento, come se prima non ci fosse stato niente e le donne non sapessero ricamare...

lunedì 20 agosto 2012

L'Antico Forno di Casa Mia

La lievitazione con il lievito madre è divertente, ma complicata.
Non è come prendere il cubetto di lievito di birra, schiaffarlo nell'impasto e poi via.
Non è come prendere quello secco, il cui procedimento è simile a quello di birra.
Insomma qui c'è da lavorare, calcolare i tempi, pianificare e poi panificare.

La prima cosa da fare è il Rinfresco. Almeno una volta alla settimana va fatto, indipendentemente dall'uso o meno. Questo perché lo mantiene vivo.
Un tempo il pane si faceva spesso in casa e poi magari lo si mandava a cuocere al forno cittadino (da quanto mi hanno raccontato anche la mia nonna paterna lo faceva), da qui l'utilizzo di marchi personalizzati che permettessero di riconoscere le proprie pagnotte. E anche se il pane fatto in casa o almeno con tutti i crismi dura di più di quello che noi moderni pensiamo, esso si faceva più spesso durante la settimana (le famiglie erano anche numerose oppure erano talmente povere che il pane sostituiva un sacco di altri alimenti). Con il fatto poi che non si cuoceva in casa, ma in un luogo deputato anche in estate veniva normale mettersi lì e impastare.
Come si fa il rinfresco?
Si prende il lievito madre, si toglie la parte secca (dipende poi dove lo si conserva), lo si pesa e poi si aggiunge la metà del peso in acqua e uguale peso di farina (sempre la stessa!). Es: 100 gr di lm + 50 gr acqua + 100 gr farina. Se poi vi scappa un po' più di acqua non è un problema, io ho notato che qualche grammo in più aiuta a mantenerlo morbido, ma qualche grammo non decine di grammi!
Prima si scioglie il lm + acqua e una volta che è nella fase liquida e senza grumi si aggiunge la farina.
Per chi c'è l'ha è comodissimo il Bimby, visto che in 2 minuti si fa tutto: 40 secondi per sciogliere il lm e il resto per impastare con la farina. Per chi non ce l'ha e non ha voglia di farlo con la forchetta (è una palla!) si possono prendere le fruste (quelle per montare a neve gli albumi) e via; poi magari si impasta la farina a mano. L'impasto rimane morbido, a volte appiccicoso (almeno a me).
Lasciarlo in un contenitore ermetico per 3 ore a lievitare a temperatura ambiente. A questo punto è pronto per essere usato.
Io di solito lo faccio alla sera e lo lascio a lievitare tutta notte, magari coperto in modo da non prendere corrente.




Conservarlo dove?
Ne ho provate in questi mesi e ho capito che un bel vaso ermetico di vetro è il top. Non ho mai provato lo straccio legato, ma sinceramente non ho minimamente voglia di lavare il panno a mano per togliere i resti del lm...Il vaso va in lavastoviglie che è una meraviglia! 
Una volta pronto io metto il vasetto in frigo, nel cassetto della verdura. Così sta al fresco, ma non prende troppo freddo.

E poi cosa si fa?
Di tutto!

Io per adesso sto cercando di fare
il pane
e le sue fasi

 le pieghe sono fondamentali per "movimentare" la pasta

varie serie di pieghe

dividere i panetti per il mio forno è meglio. Una pagnotta unica non viene benissimo

 ecco che lievitano bene e stanno vicine vicine!

ecco le pagnotte cotte!!!
Però per me sono troppo basse...

la pizza

l'alveolatura è stupenda, lo spessore da pizzeria, ma anche qui la cottura non mi convince...

le focacce

 in versione normale con rosmarino e sale

 in versione "barese" (così l'ho trovata nel ricettario, se non dovesse essere avvisatemi) con i pomodorini

meravigliosa alveolatura e qui la cottura rende bene.

Ora con il caldo purtroppo faccio solo rinfreschi, dovendo buttare sempre un bel po' di lievito visto che tende a riprodursi in maniera spropositata e quindi è un attimo che prenda il sopravvento della casa! Consiglio: rinfrescare non più di 250 gr di lm se non si deve fare nulla, se invece avete intenzione di sfamare un esercito vedete voi.

Non vedo l'ora che torni il fresco (se non il freddo) per fare finalmente altri esperimenti e capire dove sbaglio.
Se avete informazioni, consigli o altro da darmi, siete i benvenuti.

Io nel frattempo vado a scongelarmi un pezzo di focaccia barese...ah perché il pane, focacce si possono congelare senza problemi, anche se il gusto un po' forte del lv in certi prodotti aumenta.

Alla prossima!